La nostra carissima Ileana Gargiulo oggi ci parla di baby sitter, non perdetevi il suo ultimo articolo
BABY SITTER: persona che, dietro compenso, si prende cura dei bambini durante l’assenza dei genitori
Etimologia: ← loc. ingl.; propr. ‘che siede accanto (sitter, da to sit ‘sedere’) al bambino (baby)’.
Facendo una semplice ricerca in rete, queste sono più o meno le definizioni di baby sitter. Quasi tutte riportano il termine “prendersi cura”, “assistere” o “accudire”; solo Treccani parla di “vigilare” e Grandi Dizionari parla invece di “custodia”.
Un po’ per deformazione professionale e un po’ per inclinazione personale, sostengo sempre a gran voce che le parole che si usano sono fondamentali. Non solo come si usano, il tono in cui si dicono, ma anche semplicemente la parola che si sceglie di usare. Proprio quella parola, quella lì, ha un significato diverso anche solo dal suo sinonimo, per quella persona, in quel momento e in quella relazione. Allora…”prendersi cura” e “accudire” sono verbi contenitivi ed educativi, che si portano dietro la loro buona dose di emozione, affetto e relazione. Anche “assistere“, seppure rimane un verbo un pochino più passivo e impersonale. “Custodia” è una parola ambivalente; può rimandare a una mera forma di controllo, così come invece a qualcosa che si vuole custodire come un tesoro. “Vigilare” invece lo trovo il verbo peggiore di tutti…E’ controllante e distanziante. Quanto è rigida e accademica questa Treccani!
Nelle mie esperienze da baby sitter, che reputo più umane che lavorative, non ho mai fatto appello alle grandi teorie psicodinamiche o pedagogiche (e avrei potuto!!). Piuttosto, come suggerisce l’etimologia del termine, mi sono sempre “seduta accanto” al bambino di cui mi prendevo cura. Mi sono sempre messa alla stessa “altezza”, intendendo non solo quella fisica. Quando si ha a che fare con i bambini bisogna valicare il muro ed entrare nel loro mondo. Bisogna ricordarsi come eravamo noi, cosa ci piaceva fare. Bisogna parlare la loro lingua, sedersi per terra, mettersi a gattoni, sdraiarsi sul pavimento. Il pavimento è lo scenario dei giochi più avventurosi. Per mettersi all’altezza del bambino, bisogna giocare…bisogna tornare un pò bambini anche noi e non sentirsi scemi se beviamo del the immaginario da una tazzina giocattolo. Il gioco è fondamentale, è quello che mette in relazione anche due persone sconosciute e crea subito una sintonia. Anche tra i grandi accade così. Bisogna saper immaginare (cosa che a noi adulti ormai viene tanto difficile) e inventarsi una capanna degli indiani da una coperta buttata tra una sedia e l’altra (mio nonno e io eravamo formidabili in questo!). Bisogna avere voglia di sporcarsi… di sporcarsi le mani disegnando con i colori ad acqua… Bisogna anche saper rispettare lo spazio, intimo e fisico, del bimbo, i limiti che pone, il suo silenzio, il suo ozio, la voglia di non fare, così come di fare da solo. È una pretesa di noi grandi, un nostro bisogno, voler intrattenere per forza il bambino, volere per forza che faccia qualcosa. E’ altrettanto giusto e corretto mettere dei limiti e delle regole all’interno dello spazio di accudimento, le regole sono la base per il rispetto e la reciprocità e devono essere condivise sin da subito. Poi..è anche giusto che il bambino possa sperimentare nuovi modi di entrare in relazione e in contatto, possa divertirsi e possa muoversi liberamente all’interno di uno spazio relazionale che piano piano diventa conosciuto, sufficientemente buono ed empatico, che gli permetta di sviluppare la fiducia nell’altro e poterlo riconoscere come adulto significativo. Così il bambino si sperimenta, acquisisce fiducia in se stesso e sa che l’adulto è lì per sostenerlo se necessario. Sono sostegno anche una sgridata o un “no” detto con amorevole decisone. I capricci esistono proprio per questo, perché il bambino possa comprendere, attraverso l’intervento dell’adulto e la sua autorevolezza (non autorità, ma autorevolezza-la differenza è sostanziale-), cosa è buono e funzionale per lui e possa di conseguenza modificarsi e provare altre strade. Tanto l’adulto è lì, accanto a lui. Di fatto, quello tra adulto e bambino è un lavoro di meravigliosa collaborazione. Potrebbe sembrare che io abbia divagato sul tema…in realtà penso che una baby sitter, così come una nonna, una zia, un fratello, un cugino, in quanto figure ausiliarie di un genitore, si muovano tutte sulle stesse dinamiche e con le stesse emozioni, senza che questo significhi togliere il primato ai genitori, protagonisti indiscussi della crescita dei propri figli, ma per fortuna (di tutti, dei genitori in primis 😉) non unici! Credo che la crescita di un bambino sia una costellazione di esperienze, di emozioni e di relazioni, una fiaba con tanti protagonisti che devono avere un unico obiettivo (la crescita ottimale del bimbo), declinato per ognuno in base alle proprie capacità o competenze, ma tutti mossi dal motore dell’amore. E io sono onorata di aver fatto parte della costellazione dei bimbi che ho incontrato e a cui ho fatto da baby sitter. Per un po’ abbiamo brillato insieme. Vi auguro sempre di brillare insieme al vostro bimbo, che sia vostro figlio o meno.
Ileana G.
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